I tre film che
compongono la
Trilogia dei colori sono una serie di film
che il regista polacco
Krzysztof Kieślowski,
tra il 1993 e il 1994, ha dedicato ai colori della bandiera
francese. Sebbene l’intento filosofico del regista sia stato quello
di comporre una trilogia sui tre concetti espressi nel motto della
Rivoluzione Francese, i tre film hanno come tema comune il dolore
nella forma della sofferenza umana.
Il regista polacco compone un’epica delle emozioni il cui
filo rosso su cui si costituiscono il nucleo teorico e la narrazione
è l’esperienza della sofferenza umana espressa nelle relazioni
sociali vissute dai personaggi di questa epica, che assolvono un
compito sia rappresentativo che empatico.
In ognuno di
questi film Kieślowski
rappresenta un tipo di dolore e un modo di reagire ad esso, come
elaborarlo e come esorcizzarlo. Insieme questi tre film espongono
una fenomenologia del dolore e delle modalità umane di
reazione ad esso. Caratteristico dei personaggi di
Kieślowski nella Trilogia dei
colori è la capacità di operare una sublimazione
del dolore, cioè lo spostamento del pathos sofferente su
mete non sofferenti. Kieślowski vuole mostrare come il
dolore possa essere trasfigurato e trasformato in piacere o in
quiete dell’anima. Il dolore è anche visto in questi
film come quella particolare emozione e stato d’animo in cui
comprendiamo a pieno la nostra condizione situazionale, il nostro
essere nel mondo in un modo piuttosto che in un altro, a riprova
della teoria cognitiva delle emozioni, secondo la quale l’emozione è
suscitata da certe considerazioni razionali e riflessive e quando la
proviamo ne suscita altre, teorizzata in ambito etico ad esempio
dalla filosofa
Martha
Nussbaum.
Lo stile registico di Kieślowski riflette la
sua poetica, incentrata sulle vicende umane e sui sentimenti che
proviamo quando siamo coinvolti nelle relazioni interpersonali.
Il suo stile è induttivo e a tratti enigmatico,
lasciando ampio spazio alle libere associazioni dello spettatore
creando interstizi di non-detto e non-mostrato nelle trame
articolate dei suoi film. Il simbolico e lo stereotipo
sociale sono leitmotiv nella poetica di Kieślowski,
regista intellettuale e conoscitore del versante junghiano della
psicologia. I suoi film hanno la prosa pulita e pacata dei film
d’autore mediante la quale dietro e nella trama si scoprono le
tematiche del film.
Quelle di Kieślowski sono pellicole che non
presentano una critica faziosa e partigiana a certi stereotipi
sociali, ma vogliono mostrare la cromatica delle emozioni con una
filosofia della relazione interpersonale che scaturisce direttamente
dalle vicende umane e dai comportamenti degli uomini in società.
«FILM BLU»
Lunedì 9 Ottobre Ore 21,00
La reazione
al dolore di Julie (Juliette
Binochet), donna libera e generosa, protagonista del
Film Blu, è di rifiutare alcunché, fare
a meno di tutto, perché «tutto è una trappola». Julie
non sublima il dolore in qualcosa di piacevole, ma nella condizione
umana più elevata, la vita stessa nella forma
dell’inoperosità, dell’attività contemplativa nella solitudine
sociale. Julie vuole trasformare la sua vita nell’otium,
inteso non come pausa dal lavoro o dalle faccende umane, ma come
condizione umana permanente in cui l’inattività coincide con il
vivere e il vivere con l’inoperosità a tutti i livelli, affettivo,
lavorativo, emotivo, economico.
Anche cercando di tutelarsi dal dolore in tutti i modi possibili,
Julie non riesce a liberarsi dalla dimensione del
soffrire, innanzitutto perché non riesce a fare a meno
della socialità, dell’erotismo e dell’amore.
Ciò che Kieślowski vuole indicare nel primo
film della Trilogia dei colori è
che il dolore è parte essenziale della vita, che lo si può provare
anche per la più piccola creatura vivente o avvertire ed essere
coinvolti in quello di qualcun altro. Nel Film blu
il dolore è puro, non contaminato o alimentato dall’odio e
dall’infelicità.
«FILM BIANCO»
Mercoledì 11 Ottobre Ore 21,00
Nel secondo
film della Trilogia dei colori
viene rappresentato il dolore della disperazione.
Il personaggio del Film bianco,
Karol (Zbigniew Zamachowski),
sembra kafkiano: umile, onesto e in balia delle vicende della sua
vita. Il protagonista soffre per amore, per essere stato abbandonato
dalla moglie (Julie Delpy) in quanto
incapace di fare l’amore per un qualche disturbo psicosomatico.
Viene rappresentato il dolore dell’umiliazione,
nel momento in cui la ex moglie gli fa sentire per telefono un suo
orgasmo con un altro uomo.
In questo secondo film la fonte del dolore non tanto ha
a che fare con la frustrazione della sessualità e con la fine
dell’amore, quanto piuttosto con le pene inflitte dalla vita,
con l’impossibilità di sottrarsi al dolore causato dall’esperienza
di vivere. Si tratta di un dolore radicale, intimamente connesso
alla vita come tale, un dolore schopenaueriano.
In questo aspetto il dolore rappresentato nel
Film
bianco è un’altra forma dello stesso dolore
descritto nel Film blu.
Il protagonista reagisce al dolore trasformando radicalmente
sé stesso, con uno spirito di iniziativa imprenditoriale
passa da essere spaesata vittima delle avversità della vita a
controllare le vicende della sua esistenza. Egli decide di mettere
in scena la sua morte al fine di rivedere la sua ex moglie, ed è
proprio dall’esito di questa impresa che il dolore ricompare, misto
a gioia e a rimpianto, però; un tipo di declinazione del dolore rara
e difficile da mostrare e da elaborare. Karol
trova la sublimazione del suo dolore nella forza di
iniziare nuovi progetti, nel prefiggersi scopi, nei
quali però il dolore si ripresenta inesorabile. In questo nuovo tipo
di dolore, diverso da quello che provava da uomo in balia della
vita, Karol però ha
cognizione di sé stesso e comprende la sua condizione e la
profondità dell’amore.
«FILM ROSSO»
Mercoledì 15 Novembre Ore 21,00
Il
Film rosso, ultima pellicola della
Trilogia dei colori, è tra i film più complessi
degli anni del cinema pre-digitale. Realizzato nel 1994 fu
presentato a Cannes dove fu candidato alla palma d’oro, poi ottenuta
dall’ormai celeberrimo Pulp Fiction
di
Quentin Tarantino.
Il Film rosso ha una costruzione
simile a quella di Pulp Fiction. Sebbene manchi la
suddivisione in capitoli, la trama è sferzata da connessioni tra
storie diverse, e soprattutto da una riproposizione drammatica di
eventi esistenti nella memoria di un personaggio della stessa trama
del film. Questo è un aspetto difficilmente esplicabile.
È esposto nel film un’esorcizzazione del dolore, causato dal
tradimento amoroso, attraverso un cortocircuito narrativo-temporale
per cui le sofferenze del personaggio (Jean-Louis
Trintignant) questa volta si sublimano nella
reimmaginazione degli eventi passati della sua vita attraverso
eventi che capitano nella vita di un altro personaggio (Irène
Jacob) con cui il primo entra per altro in una relazione
confidenziale. Le due storie che compongono la trama sono differite
temporalmente, eppure al contempo non lo sono.
Il Film rosso è un’opera complessa
la cui genialità è rinvenibile solo guardando attentamente la
pellicola e capendone la profonda logica filosofica che vi sta alla
base: il cortocircuito temporale per cui i fatti drammatici sono un
espediente narrativo per reimmaginare eventi vissuti nella vita
passata di un personaggio trasferendone il contenuto nella vita
presente dell’altro caractère, per trattare la
sublimazione del dolore e la rinascita della speranza. |