In collaborazione con la CINETECA di BOLOGNA
IL CINEMA RITROVATO 2022
"Classici restaurati in Prima Visione"
Il
sito ufficiale
***
I CLASSICI DEL CINEMA
TORNANO IN SALA ***
Prosegue l'iniziativa
della CINETECA di BOLOGNA
con tanti
splendidi film
che hanno fatto la storia del Cinema
Il programma
2022
Personale di PIER PAOLO PASOLINI
(per il 100° dalla nascita) Ore
21,00
Lunedì 7
Marzo
Lunedì 14 Marzo
Lunedì 21 Marzo
Lunedì 28 Marzo |
ACCATTONE
MAMMA ROMA
IL VANGELO SECONDO
MATTEO
UCCELLACCI E UCCELLINI +
LA RICOTTA |
Lunedì 4 Aprile
Lunedì 11
Aprile
Martedì 19
Aprile
Martedì 26 Aprile
Lunedì
2 Maggio
Lunedì
9 Maggio
Lunedì 16
Maggio |
COMIZI D'AMORE
EDIPO RE
PORCILE
IL DECAMERON
I RACCONTI DI
CANTERBURY
IL FIORE DELLE MILLE
E UNA NOTTE
SALO' O LE 120
GIORNATE DI SODOMA |

LUNEDI' 7 MARZO Ore
21,00

(Italia/1961)
di Pier
Paolo
Pasolini
Soggetto
e
sceneggiatura:
Pier
Paolo
Pasolini,
collaborazione
ai
dialoghi
di
Sergio
Citti.
Fotografia:
Tonino
Delli
Colli.
Montaggio:
Nino
Baragli.
Scenografia:
Flavio
Mogherini.
Aiuto
regia:
Bernardo
Bertolucci.
Interpreti:
Franco
Citti
(Vittorio
Cataldi
detto
Accattone),
Franca
Pasut
(Stella),
Silvana
Corsini
(Maddalena),
Paola
Guidi
(Ascenza),
Adriana
Asti
(Amore),
Mario
Cipriani
(Balilla),
Roberto
Scaringella
(Cartagine),
Silvio
Citti
(Sabino),
Polidor
(il
becchino),
Elsa
Morante
(Alina,
una
detenuta).
Produzione:
Alfredo
Bini per
Cino Del
Duca.
Durata:
117’
Restaurato
da
Cineteca
di
Bologna
e The
Film
Foundation
in
collaborazione
con
Compass
Film
presso
il
laboratorio
L’Immagine
Ritrovata,
grazie
al
sostegno
di
Hobson/Lucas
Family
Foundation.
Grading
supervisionato
da Luca
Bigazzi
La
miseria
materiale
e
morale,
la
sensualità
senza
ideali,
l’atavico
e
superstizioso
cattolicesimo
pagano
di un
sottoproletario
della
periferia
romana.
Questo,
secondo
Pasolini,
il suo
Accattone,
film
d’esordio
che
supera
l’esperienza
del
neorealismo
per
restituire
il
dramma
epico-religioso
di un
mondo
pre-borghese.
“In Accattone ho
voluto
rappresentare
la
degradazione
e
l'umile
condizione
umana di
un
personaggio
che vive
nel
fango e
nella
polvere
delle
borgate
di Roma.
Io
sentivo,
sapevo,
che
dentro
questa
degradazione
c'era
qualcosa
di
sacro,
qualcosa
di
religioso
in senso
vago e
generale
della
parola,
e allora
questo
aggettivo,
'sacro',
l'ho
aggiunto
con la
musica.
Ho
detto,
cioè,
che la
degradazione
di Accattone è,
sì, una
degradazione,
ma una
degradazione
in
qualche
modo
sacra, e
Bach mi
è
servito
a far
capire
ai vasti
pubblici
queste
mie
intenzioni”.
(Pier
Paolo
Pasolini) |
|
LUNEDI' 14 MARZO Ore
21,00

(Italia/1962)
di Pier
Paolo
Pasolini
(105')
Mamma
Roma, ex
prostituta,
sogna
per il
figlio
adolescente
Ettore
un
avvenire
conformista
e
piccolo-borghese.
Senza
accorgersene,
lo
spinge
verso
l'infelicità
e la
morte.
Uno dei
nodi
drammatici
più
intensi
del film
è il
contrasto,
anche
fisico,
fra la
vitalità
irruenta
e
sanguigna
di una
grande
Anna
Magnani
e
l'apatia
opaca
del non
attore
Ettore
Garofolo.
Dietro
la
tragedia
di madre
e
figlio,
il film
descrive
i primi
segni
della
trasformazione
di un
paese
che sta
corrompendo
i suoi
caratteri
originari.
(Roberto
Chiesi)
Restaurato
in 4K da
CSC –
Cineteca
Nazionale
a
partire
dai
negativi
originali
35mm e
dalla
colonna
ottica
messi a
disposizione
da
RTI-Mediaset
in
collaborazione
con
Infinity+
e Cine34 |
|
LUNEDI' 21 MARZO Ore
21,00

(Italia/1964)
di Pier
Paolo
Pasolini
(137')
“La mia
lettura
del
Vangelo
non
poteva
che
essere
la
lettura
di un
marxista,
ma
contemporaneamente
serpeggiava
in me il
fascino
dell'irrazionale,
del
divino,
che
domina
tutto il
Vangelo.
Io come
marxista
non
posso
spiegarlo
e non
può
spiegarlo
nemmeno
il
marxismo.
Fino a
un certo
limite
della
coscienza,
anzi in
tutta
coscienza,
è
un'opera
marxista:
non
potevo
girare
delle
scene
senza
che ci
fosse un
momento
di
sincerità,
intesa
come
attualità.
Infatti,
i
soldati
di Erode
[...] li
ho
vestiti
un po'
da
fascisti,
e li ho
immaginati
come i
fascisti
che
uccidevano
i
bambini
slavi
buttandoli
in
aria”.
(Pier
Paolo
Pasolini).
Restaurato
da
Mediaset
Cinema
Forever,
Medusa
Film,
Scuola
Nazionale
di
Cinema –
Centro
Sperimentale
di
Cinematografia
–
Cineteca
Nazionale
in
collaborazione
con
Compass
Film |
|
LUNEDI' 28 MARZO Ore
21,00

(Italia/1966)
di Pier
Paolo
Pasolini
(86')
Il
viaggio
picaresco
di un
padre e
un
figlio
(la
splendida,
inattesa
coppia
Totò-Ninetto
Davoli),
accompagnati
da un
corvo
parlante,
lungo le
strade
dell'Italia
del boom
economico
e della
Nuova
Preistoria.
Incontrano
artisti
girovaghi
bidonisti,
ingegneri
padronali,
miseri
contadini,
fiorenti
prostitute
e
dantisti
dentisti.
Pasolini
racconta
la crisi
dell'ideologia
marxista
in
chiave
fiabesca.
(rch)
Restaurato
in 4K
nel 2020
da
Cineteca
di
Bologna
in
collaborazione
con
Compass
Film e
Istituto
Luce-Cinecittà
presso
il
laboratorio
L’Immagine
Ritrovata,
con il
sostegno
del
Ministero
della
cultura.
Grading
supervisionato
da Luca
Bigazzi |
|

(Italia-Francia/1963)
di Pier
Paolo
Pasolini
(35')
Bellissimo,
paradossale
episodio
di
RoGoPaG,
racconta
il
calvario
realmente
vissuto
sul set
di un
film
sulla
Passione
di
Cristo
(diretto
da Orson
Welles)
dalla
povera
comparsa
Stracci,
ultimo
degli
ultimi,
in un
film nel
film
dove si
aprono
parentesi
di
feroce
polemica
contro
la
borghesia
italiana
e
momenti
di
sospensione
onirica.
Il film
scatenò
uno
scandalo,
subì un
grottesco
processo,
fu
condannato
per
vilipendio
alla
religione
e
Pasolini
dovette
modificare
alcune
sequenze.
Restaurato
da
Cineteca
di
Bologna,
in
collaborazione
con
Compass
Film,
presso
il
laboratorio
L’Immagine
Ritrovata |
|
LUNEDI' 4 APRILE Ore
21,00

(Italia/1964)
di Pier
Paolo
Pasolini
(92')
Pasolini
percorre
l'Italia
dal sud
al nord,
interrogando
ogni
classe e
tipologia
d'italiano
su un
argomento
(all'epoca)
tabù
quale la
sfera
sessuale.
Pungolati,
sollecitati
e
provocati
da un
intervistatore
mai
neutrale,
uomini e
donne di
tutte le
età
rispondono
restituendo
l'immagine
di
un'Italia
intrisa
di
pregiudizi
e
repressioni,
talvolta
gretta e
oscurantista,
talvolta
ansiosa
di
un'emancipazione
ancora
lontana.
Come
ospiti e
commentatori
illustri,
partecipano
anche
Alberto
Moravia,
Cesare
Musatti,
Giuseppe
Ungaretti,
Oriana
Fallaci,
Adele
Cambria
e molti
altri.
Enquête
sur la
sexualité
è una
traduzione
assai
strana
per
Comizi
d’amore:
comizi,
riunioni
o forse
dibattiti
d’amore.
È il
gioco
millenario
del ‘banchetto’,
ma a
cielo
aperto
sulle
spiagge
e sui
ponti,
all’angolo
delle
strade,
con
bambini
che
giocano
a palla,
con
ragazzi
che
gironzolano,
con
donne
che si
annoiano
al mare,
con
prostitute
che
attendono
il
cliente
su un
viale, o
con
operai
che
escono
dalla
fabbrica.
Molto
distanti
dal
confessionale,
molto
distanti
anche da
quelle
inchieste
in cui,
con la
garanzia
della
discrezione,
si
indagano
i
segreti
più
intimi,
queste
sono
delle
interviste
di
strada
sull’amore.
Dopo
tutto,
la
strada è
la forma
più
spontanea
di
convivialità
mediterranea.
Al
gruppo
che
passeggia
o prende
il sole,
Pasolini
tende il
suo
microfono
come di
sfuggita:
all’improvviso
fa una
domanda
sull’‘amore’,
su quel
terreno
incerto
in cui
si
incrociano
il
sesso,
la
coppia,
il
piacere,
la
famiglia,
il
fidanzamento
con i
suoi
costumi,
la
prostituzione
con le
sue
tariffe.
Qualcuno
si
decide,
risponde
esitando
un poco,
prende
coraggio,
parla
per gli
altri;
si
avvicinano,
approvano
o
borbottano,
le
braccia
sulle
spalle,
volto
contro
volto:
le risa,
la
tenerezza,
un po’
di
febbre
circolano
rapidamente
tra quei
corpi
che si
ammassano
o si
sfiorano.
Corpi
che
parlano
di loro
stessi
con
tanto
maggior
ritegno
e
distanza
quanto
più vivo
e caldo
è il
contatto:
gli
adulti
parlano
sovrapponendosi
e
discorrono,
i
giovani
parlano
rapidamente
e si
intrecciano.
Pasolini
l’intervistatore
sfuma:
Pasolini
il
regista
guarda
con le
orecchie
spalancate.
Non si
può
apprezzare
il
documento
se ci si
interessa
di più a
ciò che
viene
detto
rispetto
al
mistero
che non
viene
pronunciato.
(Michel
Foucault) |
|
LUNEDI' 11 APRILE
Ore 21,00

(Italia/1967)
di Pier
Paolo
Pasolini
(104')
È una
tragedia
di
Sofocle
reinventata
alla
luce di
Freud,
il primo
film
dove
Pasolini
si
misura
con il
Mito
classico,
per
evocare,
in modo
visionario
e
onirico,
la
propria
autobiografia.
Il
poeta-regista
cala la
storia
di Edipo
in una
dimensione
barbarica
e
allucinata,
dove
Ouarzazate
e altri
luoghi
del
Marocco
‘diventano’
Corinto
e Tebe e
la
Grecia
antica
viene
trasfigurata
nella
dimensione
onirica
del
deserto
e
nell’estrosa
raffinatezza
dei
costumi
di
Danilo
Donati.
La
tragedia
è
incorniciata
da un
dolente
prologo,
ambientato
nel
Friuli
dell’infanzia
dell’autore
e da un
epilogo
in cui
Edipo,
ramingo
e cieco,
ritorna
nella
Bologna
dove
Pasolini
è nato e
infine
nel
“mare
d’erba”
delle
sue
origini
di poeta
in un
Friuli
ricostruito,
‘per
analogia’,
in
Lombardia.
Il cast
di
interpreti
quanto
mai
eterogeneo
– Franco
Citti,
Silvana
Mangano,
Carmelo
Bene,
Julian
Beck,
Alida
Valli –
appare
in
sorprendente
armonia
con la
rêverie
pasoliniana.
Avevo
due
obiettivi
nel fare
il film:
il
primo,
realizzare
una
sorta di
autobiografia
assolutamente
metaforica,
quindi
mitizzata;
il
secondo,
affrontare
tanto il
problema
della
psicoanalisi
quanto
quello
del
mito. Ma
invece
di
proiettare
il mito
sulla
psicoanalisi,
ho
riproiettato
la
psicoanalisi
sul
mito.
Eppure
mi sono
tenuto
molto
libero,
ho
seguito
tutte le
mie
aspirazioni
e i miei
impulsi.
Non me
ne sono
negato
nemmeno
uno.
Questa è
stata
l’operazione
fondamentale
di
Edipo re.
Il
risentimento
del
padre
nei
confronti
del
figlio è
qualcosa
che ho
avvertito
più
distintamente
della
relazione
tra
madre e
figlio,
che non
è un
rapporto
storico,
ma
puramente
interiore,
privato,
fuori
della
storia,
anzi
metastorico,
quindi
ideologicamente
improduttivo.
Mentre
ciò che
determina
la
storia è
il
rapporto
di amore
e odio
tra
padre e
figlio.
Io ho
sentito
l’amore
per mia
madre
molto,
molto
più
profondamente,
e tutto
il mio
lavoro
ne è
stato
influenzato.
(Pier
Paolo
Pasolini) |
|
MARTEDI'
19 APRILE Ore 21,00

(Italia/1969)
di Pier
Paolo
Pasolini
(98')
Due
storie
ambientate
in
epoche
diverse
– un
passato
indefinito
e il
1967 – e
in spazi
emblematici
– una
zona
vulcanica
e una
villa
neoclassica
in
Germania
–
tracciano
un
crudele
apologo
sul
presente.
Nella
prima,
'barbarica'
e quasi
muta, un
giovane
cannibale
fa
proseliti
e sfida
legge e
morale;
nella
seconda,
un
potente
industriale
tedesco
accetta
la
fusione
con un
concorrente,
ex
nazista.
Ma il
suo
rampollo
cela uno
scandaloso
segreto.
So io
quello
che ho
dato di
me per
fare
Porcile:
un film
povero,
girato
in un
mese,
con una
cifra
irrisoria.
È stato
meraviglioso,
si
capisce.
Perché
l’esprimersi
– anche
attraverso
i disagi
più
angosciosi
– è
sempre
meraviglioso.
E poi,
ci sono
le
avventure
umane
della
lavorazione,
il cui
valore
nulla
poi può
togliere:
come
amori di
un
giorno,
subito
lontani
ma
indelebili;
ci sono
i
rapporti
con gli
attori –
il
disperato
Pierre
Clémenti,
l’angosciato
Jean-Pierre
Léaud –
per cui
lavorare
era come
per dei
bambini
sperduti
l’essere
accarezzati
dalla
madre;
lo
smarrito
Lionello,
che con
una
volontà
struggente
ha vinto
le
impossibilità
del suo
ruolo,
riuscendo
gioiosamente
vittorioso;
l’adorabile
Anne
Wiazemsky,
sempre
perfetta
e
invulnerabile,
lei,
come una
preziosa
bestia
di razza
(o come
Marco
Ferreri);
Ninetto
–
Ninetto
Davoli –
che per
la prima
volta,
nella
sua
esperienza
un po’
comica
di
‘attore
per
forza’,
ha avuto
coscienza
di
quello
che
faceva,
e ha
recitato
l’ultima
scena
con le
lacrime
agli
occhi; e
Tognazzi,
infine,
uno
degli
uomini
più
buoni e
intelligenti
che io
abbia
conosciuto.
E poi le
avventure
naturali.
Credo
che
nessuno
abbia
mai
patito
tanto
freddo
come
noi,
prima
sull’Etna,
con
vento,
nebbia,
neve,
pioggia,
e poi in
gennaio
in una
villa
veneta
neoclassica
vicino a
Padova,
che deve
essere
gelida
anche
d’estate…
Lì la
forza
delle
cose era
una
forza
interiore:
eravamo
dominatori
della
tanto
difficile
e
imprendibile
realtà,
che
recalcitrava
maledettamente,
ma solo
sul suo
livello
pragmatico!
Come era
dolce
possederla,
cioè
essere
fusi con
essa!
Ecco,
ora il
film è
finito,
è alle
mie
spalle.
Lo
considero
il più
riuscito
dei miei
film,
almeno
esteriormente,
se il
mio
atteggiamento
verso
cose e
casi
tanto
brucianti
non
aveva
potuto
essere
che
contemplativo.
(Pier
Paolo
Pasolini,
1969) |
|
MARTEDI'
26 APRILE Ore 21,00

(Italia-Francia-Germania/1971)
di Pier
Paolo
Pasolini
(114')
Contro
un
presente
di
conformismo
e
massificazione
che gli
ispirava
disgusto,
Pasolini
reagì
rievocando
il mito
di un
passato
popolare,
dominato
dalla
carnalità
e da un
eros
incorrotto.
Per il
primo
film
della
Trilogia
della
vita, si
ispirò a
nove
racconti
di
Boccaccio,
calandoli
a Napoli
e
privilegiando
i temi
dell'erotismo,
della
morte e
dell'inganno.
L'umorismo
beffardo
e verace
che
percorre
il film
come un
esorcismo,
non
cancella,
infatti,
una
tinta
ferale
che si
insinua
nel
tessuto
delle
storie,
sempre
dominate
dalla
densità
materica
di
ambienti,
oggetti
e corpi.
Lo
stesso
Pasolini
interpreta
il
proprio
autoritratto
nel
ruolo
del
"miglior
discepolo
di
Giotto".
Non ho
scelto
personaggi
del
Decameron
per
caso ma
per
offrire
esempi
di
realtà.
Un
personaggio
del
Decameron
è
esattamente
il
contrario
di un
personaggio
che si
vede nei
programmi
televisivi
o nei
cosiddetti
film
consolatori.
Questo
per
restare
solo sul
piano
dell'idea
figurativa.
Dal
Decameron
in
poi è
questo
che
conta
maggiormente,
questa
fisicità
del
personaggio,
che si
impone.
[…] Nel
Decameron
io ho
girato
come so
e come
voglio
girare:
più che
mai nel
mio
stile.
Ma
mentre
in
Porcile
e
Medea
il mio
gioco
era
atroce,
ora esso
è lieto,
stranamente
lieto.
Un’opera
lieta
(fatta
con
tanta
serietà,
naturalmente)
mi
sembra
contraddire
ad ogni
aspettativa,
è una
disobbedienza
completa.
[…] Ma
col
Decameron
(almeno
nel
girarlo)
non si
tratta
più di
umorismo
e di
distacco
dalla
materia:
si
tratta
proprio
di
gioco.
Si vede
che la
perdita
di fede
(che è
sempre
stupida)
mi ha
dato
inizialmente
un
trauma;
ma poi,
con la
perdita
totale
della
fede
(nella
storia,
s’intende)
ho
ritrovato
una
gaiezza,
sì, una
gaiezza
che non
ho mai
avuto, e
quindi
non ho
mai
perduto.
(Pier
Paolo
Pasolini) |
|
LUNEDI' 2 MAGGIO Ore
21,00

(Italia-Francia/1972)
di Pier
Paolo
Pasolini
(111')
L'Inghilterra
trecentesca
ricreata
da
Pasolini
ispirandosi
a otto
racconti
di
Geoffrey
Chaucer,
interpretato
dallo
stesso
regista.
“I
rapporti
sessuali
mi sono
fonte di
ispirazione
anche
proprio
di per
se
stessi,
perché
in essi
vedo un
fascino
impareggiabile
[...]. I
critici,
rimuovendo
dai miei
film il
sesso,
hanno
rimosso
il loro
contenuto,
e li
hanno
trovati
dunque
vuoti,
non
comprendendo
che
l'ideologia
c'era,
eccome,
ed era
proprio
lì, nel
cazzo
enorme
sullo
schermo,
sopra le
loro
teste
che non
volevano
capire”
(Pier
Paolo
Pasolini).
Ho
scelto
quei
racconti
che
erano
realistici
–
realistici,
si
intenda
bene,
non
‘naturalistici’
– in
senso
poetico
più che
in senso
fantastico
o
mitico.
Chaucer
si
colloca
a
cavallo
fra due
epoche.
Ha
qualcosa
di
medioevale,
di
gotico:
la
metafisica
della
morte.
Ma
spesso
si ha
l’impressione
di
leggere
un
autore
come
Shakespeare
o
Rabelais
o
Cervantes.
È un
realista,
ma è
anche un
moralista
e un
pedante,
e
inoltre
mostra
straordinarie
intuizioni.
Ha
ancora
un piede
nel
Medioevo,
ma non è
uno del
popolo,
anche se
raccoglie
i suoi
racconti
dal
patrimonio
popolare.
In
sostanza,
è già un
borghese.
Guarda
già alla
rivoluzione
protestante
e
perfino
alla
rivoluzione
liberale,
nella
misura
in cui i
due
fenomeni
si
combineranno
in
Cromwell.
Ma
mentre
il
Boccaccio,
che era
pure
borghese,
aveva la
coscienza
tranquilla,
con
Chaucer
si
avverte
già una
sensazione
sgradevole,
una
coscienza
turbata
e
infelice.
[…]
Ho
voluto
che il
costumista
Danilo
Donati
si
sbizzarrisse.
La cifra
complessiva
destinata
alla
realizzazione
degli
abiti è
stata di
cento
milioni:
sono
molti,
ma
l’ambientazione
scenografica
di
questo
film è
importantissima
perché
serve da
chiave
per
interpretare
la
realtà
umana e
sociale
di quel
tempo,
ancora
divisa
nelle
tre
classi
della
cavalleria,
del
clero e
del
popolo
comune,
riunite
in un
gruppo
di
pellegrini,
che
nella
mia
intenzione
deve
esprimere
perfettamente
la
nazione
inglese
in una
precisa
unità di
cultura
e razza.
[…]
Voglio
divertirmi
e
divertire.
Voglio
far
rivivere
un mondo
popolare
che si
sta
perdendo
completamente
e voglio
ridare
agli
spettatori,
attraverso
le mie
colorite
ricostruzioni
storiche,
il gusto
dell’immagine.
Implicitamente,
poi, io
credo
che
questi
miei
film
finiscano
con
l’essere
anche
politici,
proprio
perché
vanno
controcorrente
alla
moda,
sbagliata
e
ipocrita,
dei film
impegnati
e
politicamente
qualunquisti.
(Pier
Paolo
Pasolini,
1972) |
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LUNEDI' 9 MAGGIO Ore
21,00

(Italia-Francia/1974)
di Pier
Paolo
Pasolini
(129')
L'ultimo
film
della
Trilogia
della
vita è
anche
quello
dove
forse si
esprime
più
poeticamente
il senso
dell'utopia
pasoliniana,
evocando
una
dimensione
popolare
e
fantastica
dove il
sesso è
vissuto
con
libera
spregiudicatezza
in un
passato
magico,
violento
e
intatto.
Le
scenografie
di Dante
Ferretti,
i
costumi
di
Danilo
Donati,
la
fotografia
di
Giuseppe
Ruzzolini,
contribuiscono
allo
splendore
figurativo
di un
film
ispirato
alle
fiabe
arabe e
girato
in
Etiopia,
Yemen,
Iran e
Nepal.
Che
Le mille
e una
notte
siano
opera
esotica
e
fiabesca
è un
luogo
comune
che io
contesto.
C’è del
magico,
è vero,
ma non è
quello
che
conta.
Conta
invece,
soprattutto,
il
realismo.
Sotto la
crosta
stereotipa,
sotto la
finta
mancanza
di
interesse
psicologico
vive
sempre,
in quasi
tutti i
racconti,
la
realtà
storica
precisa,
interamente
connotata.
Basta
ricordare,
per
esempio,
gli
elenchi
delle
vivande
di ogni
pasto
descritto.
Menù
ricostruiti
fino
alla
pignoleria,
elencazioni
di
oggetti
e di
ambienti
nei
minimi
dettagli,
capaci
di
restituire
intero
il senso
esistenziale
della
vita
quotidiana.
E
ancora,
i fatti
sociali:
una vita
di
relazione
con
regole
raffinate
e
complicatissime:
ogni
atto è
documentato,
si dà
conto
fin dei
gesti
dei
personaggi,
delle
frasi
rituali
di
saluto e
commiato.
Insomma,
anche se
il testo
non
enuncia
esplicitamente
problemi
sociali,
protagonista
resta
comunque
la
società
osservata
con un
rigore
quasi
etnologico.
(Pier
Paolo
Pasolini,
1974) |
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LUNEDI' 16 MAGGIO
Ore 21,00

(Italia/1975)
di Pier
Paolo
Pasolini
(116')
Geniale
'tradimento'
di Sade
e audace
dissimulazione
storica
(la
Repubblica
Sociale
è solo
un
'cartone'
metaforico),
l'ultimo
film di
Pasolini
aggredisce
lo
spettatore
precipitandolo
in un
incubo
senza
pietà e
senza
vie di
salvezza,
dove i
rituali
di
perversioni
e
violenze
rimandano
surrettiziamente
al
presente.
Mostra
aberrazioni
perpetrate
secondo
un
regolamento
da
collegio
infernale,
dove
ogni
etica è
pervertita
nel suo
contrario
e la
'soluzione
finale'
pedagogica
consiste
nella
creazione
di una
nuova
umanità,
indifferente
e
assuefatta
all'orrore. |
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… Classici del cinema
che ritrovano il grande schermo, che ritrovano l’incontro vivo con
il pubblico di una sala cinematografica. Capolavori di ogni tempo (e
senza tempo) che tornano ad essere prime visioni. E di prime visioni
di tratterà a pieno titolo, per le generazioni di oggi: perché è
solo la visione collettiva davanti a un grande schermo che può
recuperare, di questi film, l’autentica bellezza visiva, l’emozione
dirompente, e tutto il divertimento, il piacere, il brivido.
La Cineteca di Bologna promuove insieme al
Circuito Cinema la distribuzione di una
serie di dieci grandi film nelle sale del
Circuito Cinema, diffuse sull’intero
territorio nazionale. si tratta, in tutti i
casi, di film restaurati con tecnologia
digitale negli ultimi anni, riportati quindi
a uno splendore e a una nitidezza visiva mai
raggiunti prima: in tutti i sensi, prime
visioni. I film saranno presentati in
versione originale con sottotitoli italiani.
Basta aver assistito una sola volta alla proiezione di un grande
film restaurato in un festival o rassegna internazionale per
rendersi conto di quanto l’esperienza risulti coinvolgente per un
ampio pubblico. Le visioni televisive (peraltro sempre più rare!) o
su dvd (peraltro di qualità spesso modesta) vengono spazzate via
dalla presenza viva delle immagini su un vero schermo. |

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